Manifesto per una Alleanza Popolare

L'umanità sta per affrontare la più importante trasformazione della sua storia in termini temporali: la rivoluzione telematica. Diversamente da tutte quelle che l'hanno preceduta, questa rivoluzione si connota per la brevità temporale della sua gestazione ed evoluzione e per le sue capacità di impatto e modificazione delle strutture economiche. Né la trasformazione industriale, né quella postindustriale si sono sviluppate con cicli così rapidi.

A questa trasformazione, che ha reso comunicanti in tempo reale aree geografiche e situazioni economiche lontanissime, sta facendo da corollario una rapidissima mutazione della società civile e di quella economica con uno scardinamento del radicamento territoriale dell'apparato produttivo nel contesto Stato - Nazione e con la snaziolizzazione del capitale.

I detentori della tecnologia e gli utilizzatori "esperti" della medesima si stanno sempre più riducendo di numero, a causa del più alto livello di istruzione necessario e della complessiva riduzione di addetti al ciclo produttivo. Questo sta, di fatto, creando sacche di nuova povertà, generando un fenomeno di slittamento delle classi medie tradizionalmente produttrici di ricchezza verso le aree di marginalità culturale ed economica.

Si apre quindi una nuova fase, la cui visibilità sarà ancora maggiore nei prossimi anni, nei quali verranno espulsi dal ciclo produttivo non solo i lavoratori non qualificati perché privi di titoli di studio (in una parola tutta la massa della popolazione in grado di offrire soltanto braccia al ciclo produttivo), ma anche coloro che, pur possedendo titoli di studio medio-superiori o universitari, potrebbero non essere più in grado di reperire opportunità di lavoro nel nuovo ciclo economico.

In sintesi estrema, l'onda della nuova povertà arriverà a lambire quelli che fino a ieri erano i ceti medi emergenti, per difficoltà di adattamento alla trasformazione tecnologica, aprendo un nuovo capitolo della questione sociale.


Poiché, alla luce dell'analisi precedente, la maggior parte della società si confronterà con queste crescenti difficoltà sociali ed economiche, è di questi interessi colpiti e di questi problemi che dovrebbe farsi carico chi intende proporsi al governo della Comunità.

Su questa premessa, durante la prima Repubblica le forze politiche tradizionalmente centriste si erano mostrate sensibili alle istanze sociali rappresentate dalle opposizioni di sinistra. Ma l'operazione di compromesso tra centro e sinistra - per motivi metapolitici, giudiziari ed organizzativi - ha visto la progressiva prevalenza della sinistra rispetto al centro, fino all'attuale situazione che vede forze cattoliche e laiche del tutto subalterne alla sinistra del DS.

Si pone quindi come indispensabile risposta a questa nuova realtà della sinistra - centro, che si muove verso posizioni interclassiste e verso tentativi di rappresentazione universale delle diverse componenti della società, avanzare una nuova proposta sulla concezione dello Stato sociale. Questa proposta, facendosi carico delle aspettative dei ceti medi a rischio di impoverimento e delle classi operaie in via di espulsione dal mercato, deve occupare spazi sociali e politici gestiti per mezzo secolo con una cecità tale da condurre all'attuale profonda crisi del mondo del lavoro. Occorre, inoltre, che le centrali sindacali siano ricondotte a ruoli più moderni degli attuali.

Pertanto l'impegno politico, accanto alla tradizionale difesa dei valori della libertà, dell'istituto familiare, dei diritti dell'individuo, della sua spiritualità, dei diritti umani prima ancora che civili, del diritto all'informazione, dia risposta ai problemi sociali attraverso una "mutazione genetica", formulando una nuova proposta politica, economica e culturale.

La proposta politica deve rappresentare la saldatura tra ceti medi produttivi e le tradizionali classi lavoratrici, sulla base di un patto tra produttori di ricchezza e non potrà prescindere da una visione nazionale, che riporti al primato della Nazione come prima realtà storica di appartenenza.

La proposta economica non può non passare che attraverso il rilancio delle capacità produttive del ceto medio, con uno sforzo dello Stato per questa evoluzione, facendosi carico delle spese di istruzione, ricerca ed evoluzione tecnologica. Il presupposto deve essere quello di consentire ai ceti medi di ricreare, attraverso una defiscalizzazione dei redditi prodotti, la rimessa in moto del meccanismo di accumulo della ricchezza e, quindi, del rilancio della espansione economica e della riduzione dello stock del debito pubblico oggi superiore al 122% del Pil. Il solo modo per realizzare questo rientro, senza ricorrere a misure eccezionali o all'inflazione, è di avere surplus primari elevati, con tagli della spesa improduttiva e sgravi fiscali, onde consentire una crescita reale che permetta all'avanzo primario di erodere in tempi più rapidi il debito pubblico.

Lo Stato non può essere considerato in ritirata da tutto e tutti, ma deve trovare nuove forme di intervento in sostituzione di quelle da cui ormai storicamente sta regredendo.
No allo Stato imprenditore di tutto, no allo Stato burocratico ed elenfantiaco, no allo Stato amministratore di tutto, no allo Stato dell'oppressione fiscale, si allo Sato che abbia tra i suoi obiettivi primari alcune essenziali attività, in aggiunta a quelle classiche della difesa, dell'ordine pubblico, della giustizia. Lo Stato deve promuovere le attività legate all'istruzione e alla formazione (valorizzando la libertà di scelta delle famiglie e le sinergie tra scuola pubblica e scuola privata), migliorare quelle della sanità, rimodellare quelle della previdenza, reinventare quelle della politica estera nel nuovo quadro strategico.

Lo Stato sociale deve essere rivisitato tenendo conto del fenomeno della globalizzazione. Esso deve essere ripensato, sostituendo all'attuale connotazione di strumento di indiscriminata distribuzione di "tutele", o peggio di privilegi, per gruppi e categorie sociali spesso già garantiti, quella di strumento di sviluppo della nuova società che verrà influenzata dalla globalizzazione dell'economia. Lo Stato sociale deve tener conto del mercato, valida garanzia di progresso economico e di libertà, ma deve temperarne gli eccessi avendo come obiettivo il benessere di tutti i cittadini e in particolare di quelli meno favoriti senza esclusioni ed emarginazioni.

Questa concezione del nuovo Stato sociale consentirà di coinvolgere le forze laiche, socialiste e cattoliche, quest'ultime ispirate non solo dalla prassi degasperiana della saldatura nel cattolicesimo dei valori positivi della libertà e della socialità, ma anche dalla critica antidemocristiana di chi agli stessi principi si richiamava.

E il pensiero economico delle correnti del Socialismo liberale, democratico, e nazionale è stato faro nella nebbia delle coscienze, mantenendo viva la speranza di un mondo più giusto. Alle ideologie socialdemocratiche si deve inoltre l'identificazione del patrimonio delle lotte sociali con il principio del rispetto delle delle regole del mercato.
A queste idee intendono aderire molti di coloro che, oggi "pentiti", un tempo condannavano questi valori e lottavano per distruggerli, in nome delle concezioni antidemocratiche del credo comunista e della lotta di classe, tutto ciò sulla base ideologica, davvero risibile, del costo del salario inteso come variabile indipendente nei processi produttivi.

Questi sostenitori dell'assolutismo proletario, soltanto dopo la fine del Comunismo, hanno scoperto le idee del Socialismo Democratico; ma ciò nonostante, essendo uomini di cultura "organici al potere", continuano a farsi interpreti di quel pensiero.
Infine la proposta culturale deve dare una risposta alle tesi della sinistra, rilanciando la cultura democratica e sociale nel mondo intellettuale, nelle università, nelle scuole e nella società civile, rivendicandone il valore primigenio, la visione libertaria e la grande spiritualità. Infatti in questi anni, complice la struttura economica delle centrali culturali, si è realizzata un'appropriazione dei temi che sono a fondamento del pensiero politico ed economico dell'area moderata, cattolica e sociale del nostro paese. A questa egemonia si deve dare una risposta con la valorizzazione e la riproposizione delle identità culturali che hanno consentito nel recente passato la crescita civile del nostro paese.

Alla mistificazione di una politica falsamente sociale (che di fatto penalizza le classi più deboli), falsamente liberista (poiché danneggia prevalentemente i ceti produttivi), falsamente socialdemocratica (poiché non consente possibilità di accumulo di ricchezza da ripartire secondo meriti e bisogni), e quindi in realtà statalista ed assistenzialista, bisogna contrapporre una proposta che superi i vecchi schematismi ideologici per difendere con scelte interclassiste lo sviluppo economico e la coesione sociale del popolo italiano di fronte alle nuove sfide della globalizzazione.

In altri termini bisogna dimostrare la falsità dell'assunto che la sinistra abbia l'esclusiva della difesa delle classi più deboli.

Il federalismo e il principio di sussidiarietà, come la visione della tutela del bene comune libera da ogni ingessatura burocratica e statalista, introducono all'idea guida della parteciapzione. Partecipazione intesa come organizzazione e responsabilizzazione delle rappresentanze sociali, nel segno di una rinnovata funzione del Cnel (Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro), delle Camere di Commercio, delle associazioni sociali e di categoria, insomma di tutte le forme espressive di quei corpi intermedi che costituiscono la società civile organizzata.

Partecipazione, anche, come coinvolgimento dei lavoratori nella vita delle imprese. La vita italiana al post - fordismo può essere costruita incentivando tutte le imprese che siano disponibili a stipulare con i propri lavoratori dei "contratti di partecipazione", nei quali una quota del salario sia legata agli utili dell'impresa e nei quali, tramite l'azionariato dei dipendenti, sia prevista la partecipazione di questi agli Organi di Amministrazione.

Il tema federale consente di riproporre con forza l'esigenza di una ripresa d'iniziativa politica in campo europeo. C'è una crisi di governabilità sempre più manifesta, nonostante le disposizioni del Trattato di Maastricht e gli accordi di Amsterdam, che hanno indicato, di fatto, nel governo delle banche centrali lo strumento di governo dell'Europa. Il consenso popolare sulla necessità dell'unificazione europea non cresce come dovrebbe, a causa delle diversità fiscali di molti stati che pretendono di mantenere immodificate le loro legislazioni particolari e soprattutto a causa dell'irrisolto problema dell'occupazione sul quale i governi europei non riescono a trovare un'intesa. Se a questo si unisce il sempre crescente numero di aspiranti ad entrare nell'Unione europea, diversi per storia e per assetto istituzionale, si rende indispensabile un'offensiva politica per realizzare l'Europa federale, l'Europa dei popoli e delle culture, che permetta di riaffermare il primato della politica sull'economia. A questa Europa gli Stati membri dovranno dare una chiara risposta di adesione.

E' su questo terreno che nei prossimi anni si misureranno le tematiche della nostra epoca: la nazione Europa dovrà confrontarsi con l'Oriente crescente e l'Occidente declinante e dovrà farlo sulla base di proposte culturali, economiche, sociali e politiche innovative, ma che tengano pur sempre conto della grande tradizione di pensiero e delle grandi ideologie che l'Europa ha generato.

Promotore: Avv. Prof. Emmanuele Emanuele

 

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